Huachafo non è lo stesso di Kitsch. Sono però parole simile che condividono molte caratteristiche comune. Mentre che dal primo non c’è scritto molto e le sue definizione sono imprecise, dal seconde c’è abbastanza bibliografia. Parliamo, allora, sul Kitsch.
“È sempre accaduto che i membri delle classi “alte” giudicassero sgradevoli o ridicoli i gusti delle classi “basse”. Si potrebbe certo dire che in queste discriminazioni hanno sempre giocato fattori economici, nel senso che l’eleganza è sempre stata associata all’uso di tessuti, colori e gemme costosissimi.”
“Esiste un’arte per gli incolti così come esiste un’arte per i colti, e che bisogna rispettare la differenza tra questi due “gusti” così come si rispettano le differenze di credenze religiose, o le preferenze sessuali. Però, mentre i cultor di un’arte “colta” trovano kitsch il kitsch, i cultori del kitsch (tranne che di fronte a opere intese proprio a “stupire i borghese”) non trovano disprezzabile la grande arte dei musei (i quali, peraltro, spesso espongono opere che la sensibilità colta giudica kitsch). Anzi, ritengono le opere kitsch “simili” a quelle della grande arte.”
“Kitsch è l’opera che, per farsi giustificare la sua funzione di stimolatrice di effetti, si pavoneggia con le spoglie di altre esperienze, e si vende come arte senza riserve.”
“Non tutto il brutto (di ieri o di oggi) può essere visto come camp. Lo è solo quando l’eccesso è innocente e non calcolato. Gli esempi puri di camp non solo intenzionali, sono estremamente seri […]. In questi casi, la reazione deliziata del degustatore del camp si manifesta con “è troppo, non posso crederci!”. Non si può decidere di fare una cosa camp. Il camp non può essere intenzionale, poggia sul candore con cui se mette in opera l’artificio (e, diremo, sulla malizia di chi lo riconosce come tale). C’è nel camp una serietà che fallisce il suo scopo per eccesso di passione, e comunque qualcosa si smisurato nelle intenzioni.”
ECO, Umberto: Storia della bruttezza. (pp 394, 397, 404, 418)
ECO, Umberto: Storia della bruttezza. (pp 394, 397, 404, 418)
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